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Oscar Wilde, il vero dandy ribelle

Se tutti conosciamo Oscar Wilde come scrittore e poeta, forse pochi sanno che è considerato il dandy per eccellenza.

Se lo conosci sai che è la ricerca del bello la cosa che insegue per gran parte della sua vita e lo esprime con i toni provocanti delle parole, indossando abiti sartoriali, avvolgendosi di lusso ed eleganza.

Non si ammettono repliche o spiegazioni: è lui il dandy irlandese più ammirato nella storia.

Chi non ha postato un pensiero di Oscar Wilde sui social, nei diari, sui muri di casa o addirittura tatuato uno sulla pelle.

Ciò che disse sono verità comode o seccanti, comunque senza tempo, capaci di impressionare per quanto attuali. Frasi brevi, scelte per raccontare un attimo, un bisogno o una speranza, una promessa a se stessi che difficilmente si manterrà, ci vuole coraggio per essere veri dandy e viverlo senza mezze misure..

Oscar comunicava il bello con aforismi, poche parole in una riga, tante da formare romanzi o poesie, poi le indossava e se le portava dietro come un abito cucito addosso e per questo fu al centro dell’attenzione nel bene e nel male. Immaginati di vivere nella Londra vittoriana del 1881: ipocrita, bigotta e proibizionista, piccata, aristocratica e bohémiene. Era inevitabile che un uomo con la lingua sferzante, dandy sfaccendato, dagli atteggiamenti provocatori non fosse sulla bocca di tutti. Ci vuole fegato a presentarsi a teatro con un girasole, preferire il volto glabro quando la moda imponeva basette e baffi, per non parlare delle onde artificiali nei suoi capelli lunghi. Oscar Wilde vìola le soffocanti regole morali della sua stessa classe sociale e loro non avranno certo pietà di lui.

È assurdo dividere la gente in buona o cattiva. La gente è affascinante o noiosa.

Wilde adottò l’ideale estetico per provocare, scioccare quella parte di società allineata ad un pensiero troppo laccato. Sapeva quel che faceva, si atteggiava per indispettire i buon pensanti, scriveva per sbalordire ed esibiva pose stravaganti per beffeggiare i giudiziosi. Quando dichiarò la sua omosessualità era a conoscenza che fosse un reato per le leggi britanniche, eppure dissacrava con gli scandali gli ambienti bohémien e l’alta società del tempo.

Un dandy di rara eleganza che utilizza il verbo per annientare e le movenze per profanare l’ipocrisia, tanto da essere beffato dalla rivista umoristica Punch per eccesso di vezzi e atteggiamenti discutibili. La sua penna sa dove colpire e lo fa bene con l’unico romanzo nonché capolavoro “Il ritratto di Dorian Gray”, storia di un giovane ossessionato dalla propria perfezione estetica che vende l’anima per l’eterna giovinezza.

Se Oscar Wilde fu dandy nel suo modo di essere, oggi, chi si definisce tale, come lo trasmette?

Il controllo degli impulsi, del piacere, secondo Wilde, distruggono l’essenza dell’uomo ecco perché la ricerca della soddisfazione è la via di scampo da abnegazione e frustrazione a cui l’uomo sarebbe destinato, se non realizza ciò che desidera. Questo è il significato del Ritratto di Dorian Gray, ma la società vittoriana non era mica disposta a far svelare le sue contraddizioni in maniera così sarcastica e beffarda.

Life is simply a mauvais quart d’heure made up of exquisite moments.

(La vita è semplicemente un brutto quarto d’ora fatto da momenti squisiti)

Un autore beffardo dallo spirito eccentrico a cui la società non permetteva l’esistenza. L’omosessualità era un reato per le leggi britanniche e la sua arroganza gli costò un’accusa di sodomia nel 1895 con tanto di prove portate dal marchese di Queensberry, papà dell’amato Alfred Douglas, detto Bosie. Uno scandalo che costò a Oscar due anni di lavoro forzato e una crisi profonda personale che lo porterà all’abbandono dell’amore per il Bello a favore di un conforto divino.

In carcere scriverà tra le altre cose De Profundis, una lunga lettera al suo amato Bosie, cui però non risparmiò di accusarlo di essere stato la sua rovina. Arriva anche per lui il tempo di abbandonare la religione della bellezza per un più conosciuto dolore. Lo fa dapprima ne “L’importanza di chiamarsi Ernesto” ( The importance of being Earnest) dove mise in luce in modo satirico le ipocrisie vittoriane, tornato in libertà nel 1898 scrisse La ballata del carcere di Reading ( The ballad of Reading gaol ) in cui rivela le condizioni disumane dei reclusi. Violenza dell’uomo sull’uomo, il supremo dandy trasforma il suo corpo in un ammasso di carne dolorante, un dolore che considera la suprema emozione di cui l’uomo è capace.

“E’ il lancinante rimorso e i sudori di sangue nessuno li conobbe al pari di me: perché colui che vive più di una vita deve morire anche più di una morte”. A Parigi sotto il falso nome di Sebastian Melmoth trascorse gli ultimi anni della sua esistenza e morì di una banale infezione all’orecchio, un’otite che colpì per la gravità il cervello e ne causò il decesso (30 novembre 1900 Parigi)

Al suo funerale furono presenti un gruppo sparuto di persone sotto falso nome e due donne velate. Se Oscar Wilde fu dandy nel suo modo di essere, oggi chi si definisce tale come lo trasmette? Per il dandy contemporaneo l’eleganza diventa etica, non certo mera apparenza. Parte dallo spirito, prima che nei completi sartoriali, deve rendere la bellezza uno stile di vita originale, arginare gli impulsi egoisti e autolesionisti dell’individuo con lo scopo di rendere la vita sulla terra più integra e morale.

E come disse il sommo dandy Oscar Wilde “Vivere è cosa rara al mondo. La maggior parte della gente esiste e nulla più”

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